ALAIN MATTHEEUWS, Gli inizi della vita umana: un appello etico fin dall'origine
INTRODUZIONE
L'origine dell'essere umano non è un segreto da nascondere, anche se rimane in ogni caso avvolta dal mistero. Si trova al centro di una luce che non è trasparenza pura, ma che l'illumina circa la sua natura profonda, che lo trascende, lo oltrepassa e gli dona una incomparabile dignità. Nessuno ha avuto il controllo sulla propria origine, ma ognuno è responsabile – in considerazione della comune umanità – della maniera in cui gli altri esseri umani vengono al mondo. All'origine, la bontà di Dio si esprime in maniera insuperabile. Questa realtà di gratuità, di bontà, di dono è poco percettibile nella cultura attuale. C'è il dovere di cercarla, di tradurla, di interpretarla per la cultura contemporanea e, in particolare, per quella cristiana.
Nella Sacra Scrittura non ci sono le parole in uso oggi per dare un nome all'embrione umano e agli atti umani che intervengono a suo riguardo, tuttavia, questo non significa che, nella lettera e nello spirito, ci sia un vuoto sull'argomento. Le affermazioni della Sacra Scrittura sono ricolme di un senso che attraversa il tempo e lo spazio e attestano serenamente e con sicurezza il disegno benevolo di Dio Creatore e Padre. La teologia morale non è soltanto lo studio di come applicare le leggi morali, ma l'individuare, a partire dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione, il senso simbolico che, nell'unità con gli altri sensi spirituali, delinea il senso ultimo dell'agire umano secondo lo sguardo di Dio. Come sarebbe possibile prendersi cura di colui che non ha ancora l'apparenza umana senza l'unione della ragione e della fede che fa scoprire ciò che l'embrione è e ciò che dice di se stesso unicamente attraverso la sua esistenza? È un invito a guardare all'origine dell'essere umano con gli occhi della fede, per scoprire, in base alla memoria, all'intelligenza e alla volontà, a quale punto cruciale di un appello etico decisivo ci si trova.
Come si può parlare di «colui che è concepito» e trovare le parole e il linguaggio adeguato a rendere ragione della profondità del suo essere e dell'ampiezza del suo mistero? Non si può dare altro nome a quello che si usa chiamare zigote, pre-embrione, ammasso cellulare, grumo di cellule, morula, cellule embrionali totipotenti o multipotenti, feto, embrione? Non si può già chiamarlo embrione umano? Oppure avere l'audacia di usare l'espressione «figlio allo stato embrionale»? Oppure ascoltare le donne incinte che parlano del loro bambino o certe persone che parlano di «figlio», di «fratello», di «grande misconosciuto» o del «più povero tra i poveri» (Madre Teresa)?
La breve esposizione non ha anzitutto scopo apologetico: l'obbiettivo è dare un nome, a partire dalla Rivelazione, al mistero dell'origine, e in particolare dare un nome a colui che si scorge come frutto dell'atto creatore. Si fa uso di due tipi di linguaggio: il primo, più ontologico, è quello della creazione; il secondo, più teologico, è quello della sacra Scrittura e della Tradizione, per dare un nome al mistero dell'origine di ogni essere umano.
L'EMBRIONE UMANO È UN DONO DI DIO
Per scoprire veramente quello che si è, è necessario immergersi in un universo dove ciò che è primordiale è la gratuità dell'essere. L'apparire dell'essere a partire dal nulla si accerta, si medita, si interpreta: non lo si inventa. Il mondo creato è un mondo donato all'essere umano, affidatogli in quanto essere spirituale, capace di trovarne il senso e di iscriverlo nella storia dell'umanità e nella sua storia personale. L'infinitamente grande come l'infinitamente piccolo dipendono dal Creatore che continuamente garantisce alla sua opera l'esistenza. Ogni creatura partecipa del dono dell'essere e vive sotto lo sguardo di una trascendenza.
Pensare la creazione e l'atto creatore non vuol dire situarsi unicamente in un dato momento del tempo. Esso infatti sussiste nello slancio dell'essere donato. L'universo creato rimane ugualmente nelle mani del Creatore. La creazione e la sua permanenza sono segnate dall'abbandono della creatura all'iniziativa e all'azione del Creatore. La dinamica della creazione è questa accoglienza del dono dell'essere nella sua totale gratuità e sovrabbondanza. Nulla sfugge all'azione creatrice di Dio: qualunque sia il nome che a Lui viene dato. In questo modo, se il mondo è nelle mani di Dio, come si può pensare che il frutto del concepimento umano sia estraneo alla sua azione e alla sua conoscenza?
La comparsa dell'individuo nell'universo e nel seno materno non sfugge all'azione e alla provvidenza divina. Questa conoscenza divina dell'universo, e quindi di tutto ciò che accade in esso, stabilisce un legame immediato tra ogni embrione umano e il Creatore. Questa conoscenza è iscritta nell'alleanza personale voluta da Dio. I primi capitoli della Genesi lo insegnano e esplicitano ciò che la ragione umana può trovare riguardo all'essere delle cose. Dio è Creatore. Pone un'alleanza. Pone un atto che è un atto di gratuità, di amore, di sovrabbondanza.
Giovanni Paolo II esprimeva questa luce dell'intelligenza parlando alle famiglie. Pertanto, prima di essere riconosciuto dagli altri esseri umani – sua madre, suo padre, i medici – l'essere-dono del figlio appena concepito è già conosciuto da Dio. Dio conosce per primo l'esistenza dell'embrione umano perché è Lui a crearlo.
L'EMBRIONE UMANO È SEMPRE UN DONO
All'origine di ogni persona c'è quindi un atto creatore: esiste una relazione immediata, amorevole, gratuita tra Dio e l'essere umano. Il concepimento di ogni nuovo essere umano è il risultato di un atto della volontà d'amore di Dio, qualunque siano le circostanze di questo concepimento. Per l'embrione umano tuttavia, al di là delle percezioni più o meno coscienti e talvolta in contraddizione con la volontà dell'uomo o della donna che lo concepiscono, essere creato significa essere voluto da Dio, affidato a se stesso nella propria singolarità originaria e concreta, chiamato a rispondere al dono con un dono. In fondo, il dono rivela una caratteristica particolare dell'esistenza personale o, meglio, dell'essenza stessa dell'embrione umano. Affermare che Dio è la fonte ultima e l'origine più profonda della nostra esistenza significa non soltanto testimoniare la verità, ma anche rafforzare l'essere umano, nella sua essenza e nella sua vita.
L'essere creato dipende dal dono che Dio è in sé e dal dono dell'essere, della vita e dell'amore accordati in ogni istante. L'atto creativo di Dio costituisce e assicura la realtà personale del nuovo essere umano. Questo atto creativo ha le caratteristiche di un dono che supera le persone umane (a volte con le loro pulsioni complesse e ambigue) e le circostanze del concepimento.
Questa certezza appartiene alla logica della gratuità della creazione, della sovrabbondanza della potenza di amare, che si dona senza aspettarsi nulla in cambio. Ogni bambino rivela la bontà radicale di Dio che offre all'umanità un volto nuovo di se stessa, unico, singolare, ecc., volto che riflette la gioia di un Creatore che dona l'essere umano a se stesso e gli permette di essere sostanzialmente un dono in sé e per tutti.
L'EMBRIONE È UN DONO PER L'UMANITÀ
La creazione del figlio rende inoltre manifesta la volontà divina di offrirlo in dono ai suoi genitori e a tutta l'umanità per l'eternità. A ogni concepimento, quello che viene offerto al mondo non è un nulla. È tutto un mondo, la cui innocenza è segno del dono singolare che rappresenta per tutti. Il patrimonio genetico, la crescita programmata, la forma umana confermano le implicazioni umanitarie della sua esistenza. L'embrione umano è affidato agli altri esseri umani. Il suo volto non è spettacolare. Resta a lungo poco percepibile alla vista e il suo mistero resiste alle lunghe osservazioni scientifiche. Tuttavia, la semplice presenza del figlio richiama il «dono di Dio». Il figlio che viene alla luce arriva solo per prendere e non per dare? Per donarsi? Il fatto che non abbia ancora le capacità di restituire l'amore ricevuto, di esercitare le sue potenzialità personali o di manifestare tutta la sua ricchezza non può annullare il dono rappresentato dal suo essere. Fin dall'inizio, il dono che rappresenta non è spettacolare, nel significato etimologico del termine.
L'esser-ci dell'embrione umano ha ancora soltanto lo statuto di essere creato, donato a se stesso e agli altri nella sua povertà. Dono uscito dall'atto creativo, offerto all'amore degli altri, muto, con la sua semplice presenza il figlio appena concepito rivela qualcosa del suo mistero: «Io sono creato da Dio»; io sono un «dono di Dio» offerto al riconoscimento.
Ognuno è chiamato a fare memoria dei primi momenti della sua esistenza e a riconoscere il dono della vita, sul quale non ha alcun potere. Ognuno lo riceve gratuitamente e nessuno può definirsene proprietario. Io non posso esistere senza confermare il dono ricevuto, perché quel dono definisce chi «Io» sono. All'origine del mio essere, quello che io sono è inappropriabile: questa alterità che io sono è il primo dono ricevuto che si identifica con la mia esistenza. In quanto donato a se stesso, l'essere umano è un essere-in-debito di se stesso. Egli sarà sempre in obbligo per ciò che è. Il dono che è l'essere umano richiede un atteggiamento di dono alla sua altezza e un'accoglienza incondizionata. Potendo disporre di sé in quanto donato a se stesso, l'essere-dono è reso così strutturalmente disponibile per l'altro, per tutta l'umanità, e anche per Dio. Poiché è dono in atto, è in potenza capace di agire e di donarsi liberamente dal primo istante della sua esistenza. Egli è per l'altro.
L'EMBRIONE È UN DONO NEL SUO CORPO
L'embrione umano scopre ciò che è attraverso la parabola del suo corpo. Il corpo umano non è forse il simbolo per eccellenza, ineliminabile, per dire ciò che è e per trovarsi?
Questo corpo ricevuto è il germe iniziale e il pegno di ogni dono di sé. Il corpo è testimone che la fonte della vita è fuori ma, nello stesso tempo, dentro, in un modo più intimo di quanto si possa pensare. Il corpo è la condizione concreta dell'esistenza: lo spirito non riceve il proprio corpo, come se qualcuno gli facesse dono di qualcosa. La libertà si concede donando il suo corpo. Il corpo è il luogo dove la libertà acconsente al dono che rappresenta e che riceve. Le implicazioni in gioco sono quindi delle implicazioni etiche, come lo sono i significati che il corpo esprime. Il bambino concepito ha un corpo, restando vero che è nel suo corpo. Egli fa corpo con il dono che è, con il suo essere. Il corpo dell'embrione umano, è lui. L'embrione umano non è senza il suo corpo, ma diventa dono per altri nel suo corpo. La persona non è e non diventa se stessa senza il suo corpo. Così la vita nel corpo è donatrice di senso spirituale della persona e dei suoi atti.
L'embrione appena concepito ha un corpo: un corpo generato da un incontro di gameti provenienti da altri corpi, un corpo radicato in un patrimonio genetico che viene da lontano, un corpo in viaggio nelle tube o già fissato alla parete uterina, un corpo affidato a un altro corpo dal quale riceve calore e nutrimento, protezione e ossigeno. Questo corpo abbandona poco a poco l'ombra per venire alla luce della conoscenza scientifica. Con l'ecografia diventa visibile. Il corpo può essere estratto, prodotto, congelato o ridotto. Può essere esaminato ed eliminato in quanto materiale cromosomico deficitario, oppure migliorato, ma non potrà mai essere soltanto un corpo tra tanti. Fin dal concepimento, ogni volta si tratta di un corpo singolare, unico (con caratteristiche biologiche precise), da proteggere in quanto corpo di una persona. Il mistero del corpo donato del bambino rimane custodito nella sua origine, dal primo istante del suo concepimento. Non è soltanto un mero visibile; non appartiene solo al mondo dell'avere e dell'osservabile: è per sempre perché è stato donato per sempre.
Fin dall'origine, il corpo dell'embrione umano è corpo offerto e affidato come segno e come memoria permanente del suo essere-dono. Il corpo dell'embrione, in tutti gli stadi del suo sviluppo, deve dunque essere visto, osservato, riconosciuto, ascoltato, compreso alla luce della sua dignità personale e spirituale. Questa unità costituisce la presa di coscienza e il rispetto dell'identità umana fin dal concepimento. La vita corporale è un dono che predispone al dono dell'alleanza personale, al sì alla vita dei figli di Dio. Rispettare il corpo dell'essere umano significa onorare la promessa dell'alleanza. L'unità sostanziale del dono dell'embrione umano è talmente fondamentale e forte che toccare il corpo umano vuole dire toccare la persona stessa. Il corpo è la persona già visibile, custodisce e rende manifesto l'essere personale, lo esprime e lo dona. Senza le parole del corpo, che cosa si conoscerebbe dell'embrione umano e della persona stessa? Spetta all'essere umano apprendere la grammatica e il lessico di tale linguaggio. L'embrione umano annuncia e predice la totalità interna ed esterna che si offre ed è affidata come una persona nella sua innocenza e nella sua novità.
L'EMBRIONE È UN DONO DELL'UOMO E DELLA DONNA
Al cuore del dibattito in bioetica, questo aspetto merita di essere considerato. La dottrina morale della Chiesa è incomprensibile senza collegarla con la dottrina sacramentaria del matrimonio, della relazione uomo-donna e del rispetto del significato della differenza sessuale segnata dalla bellezza dell'atto coniugale, posto nello scrigno del consenso reciproco. Dio unisce i due sposi a Lui e al suo desiderio di far sorgere la «novità di esseri umani singolari». Donare la vita è un «gesto divino» al quale l'essere umano partecipa nella relazione coniugale. L'anima spirituale di ogni persona è «creata immediatamente» da Dio. Numerosi autori vi vedono peraltro la fonte ultima della dignità intrinseca di ogni essere umano.
È bene sottolineare il primato dell'azione divina per rendere manifesta la fecondità a livello della responsabilità dell'uomo e della donna che collaborano intimamente a questo atto creatore. Per accogliere il figlio che viene, l'azione dei genitori deve partecipare degli stessi tratti personali che caratterizzano l'atto creatore. L'amore coniugale è estatico, nel senso che l'unione degli sposi è aperta sull'infinito del suo frutto. L'atto coniugale è partecipazione all'umanità dell'altro: umanizza i coniugi e il figlio perché è il luogo privilegiato del riconoscimento della loro comune umanità e della loro filiazione divina.
L'atto coniugale non può essere posto in essere per procura o per interposta persona. All'atto coniugale è connesso un diritto imprescindibile. La sua bellezza deriva dalla partecipazione al dono creatore, una partecipazione libera, cosciente e gioiosa. Il dono parentale fa sorgere il dono del figlio, e viceversa. Nel momento di porre l'atto, questo è una parabola dell'amore di Dio. L'amore degli sposi è pure profezia della venuta all'esistenza del figlio. Il dono degli sposi può assicurare così a ogni essere umano la certezza di essere amato. L'atto coniugale qualifica così l'embrione fin dalla sua origine. Il dono carnale degli sposi è a immagine del dono creativo divino. Dal loro duplice dono nasce un dono nuovo, pervaso dalla gratuità dell'essere. Questa dinamica del dono fa riferimento al nome di Colui che dona: il nome paterno di Colui che genera da tutta l'eternità. La paternità divina traspare nel desiderio dei genitori di donarsi l'uno all'altro e di donare la vita. Il dono che è l'embrione umano avviene così, secondo la sua perfezione, con un atto di amore personale che passa attraverso il corpo degli sposi. Operando con Dio e in suo Nome, i genitori rendono visibile la logica del dono, logica consustanziale all'amore di Dio.
L'EMBRIONE È UN DONO A IMMAGINE DI CRISTO
La benedizione inaugurale all'inizio della Genesi (Gen 1) rivela la bontà della procreazione e la missione affidata all'uomo e alla donna all'alba dei tempi. La parola di Dio è portatrice di una saggezza che è una conoscenza vera, nella lettera e nello spirito, anche se «la Bibbia ebraica è molto discreta a proposito della formazione dell'essere umano nel grembo materno».
Il paradosso che si ritrova nella Bibbia è il seguente: pur nella reale ignoranza di come l'essere umano si formi e cresca (per gli scrittori sacri di quest'epoca) una affermazione si impone: l'identità dell'embrione è riconosciuta, il suo legame con Dio è chiaramente assicurato, l'abbandono della padronanza che si ha sulla sua origine e la nostra è attestata. La vocazione umana viene già delineata a partire dall'istante del concepimento: «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni» (Ger 1,5). Dio si fa carico dell'essere umano fin dal seno materno. Nella descrizione poetica dell'embrione umano di Giobbe (Gb 10,10-12), «i tre termini vita, benevolenza e spirito sono doni di Dio all'embrione». La sapienza divina abbraccia lo spazio e il tempo. Permea l'umanità dell'embrione dall'interno e lo conosce pertanto meglio di quanto questi si conosca all'origine. Questa conoscenza divina è piena di potenza e d'amore. Dio conosce l'embrione nell'unità che questi è fin dalla sua origine. Il Salmo 139 mostra con evidenza quanto «l'embrione è già un “io” ed è opera di Dio che, di conseguenza, lo conosce personalmente, fin dall'origine del suo essere».
Il commento di P. Beauchamp e J.-M. Hennaux lo esplicita con precisione e profondità: sottolineano questa particolare conoscenza che Dio possiede riguardo a tutti gli esseri umani. Questo sapere divino non è astratto ma, al contrario, molto concreto. «Signore, tu mi scruti e mi conosci (1), tu sai quando mi seggo e quando mi alzo. Penetri da lontano i miei pensieri (2), mi scruti quando cammino e quando riposo. Ti sono note tutte le mie vie (3)». In questo senso, Dio conosce l'individuo in modo completo e vero, nello spazio e nel tempo. Ma spesso questa conoscenza è nascosta, dimenticata o negata dalla riflessione corrente sull'identità della persona e in modo particolare sull'identità dell'embrione umano. La dinamica del Salmo resta attuale: aiuta a discernere la conoscenza autentica. L'uomo e la donna non possono nascondersi a Dio. Non esistono tenebre per Dio che vede tutto, sa tutto e penetra tutto. Neanche una piega dell'essere umano sfugge allo sguardo di Dio. L'essere umano intuisce questa conoscenza totalizzante, che abbraccia tutto il suo essere. Questo sapere trascende l'autocoscienza umana; gli svela un mistero che non avrebbe potuto comprendere.
Questo stare in presenza del mistero conduce verso i versetti decisivi del Salmo che Beauchamp chiama «punto centrale» o «punto di creazione»: «Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo. Non ti erano nascoste le mie ossa, quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; i miei giorni erano fissati quando ancora non ne esisteva uno» (Sal 139,13-16). Ecco il commento di Beauchamp: «Il Salmo 139 conclude il suo periplo spaziale con una nuova partenza nell'elemento spaziale, nel quale il quasi-nato occupa il centro più nascosto del mondo, nella germinazione del vivente […]. Prima della mia coscienza, si trova il mio corpo; prima del mio corpo, il mio essere allo stato embrionale nel ventre di mia madre, ed è lì che Dio mi vede. Per l'”Io”, che parla in questa poesia redatta in prima persona, il centro del corpo prenatale è al contempo il centro della terra e quello della presenza divina (quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra)».
Non è possibile riconoscersi come un «prodigio» (v. 14) (e pure ogni altro uomo) se non grazie a Lui, malgrado le resistenze interiori e gli avvenimenti che talvolta contraddicono questa affermazione. Come comprendere che questa conoscenza è un dono particolare per il salmista e per noi! Si fa evidente quindi una lotta spirituale: riguarda ogni persona, la sua ragione e il suo cuore. Ma l'affermazione di questa conoscenza e di questo legame immediato con Dio è decisiva per l'esistenza e la dignità umana.
Rendimento di grazie e preghiera per una esistenza unita a Dio, in alleanza fin dalle origini, «sospesa al Suo Atto». Il salmista – e con lui l'individuo moderno – è portato a lodare Dio per quel momento nel quale l'essere umano esisteva solo per Dio, per il suo Amore che mi ha amato prima di qualunque altro. Questa consapevolezza del dono offerto fin dall'inizio spinge il soggetto a rispondere a tanta gratuità: il dinamismo etico vi è coinvolto fin dall'origine. Ci si trova a un incrocio cruciale della morale fondamentale. Di fronte al dono originario, ogni essere umano sente di essere in debito per il dono che egli rappresenta e per la vita ricevuta. Il ritardo della libertà dell'uomo e della donna sulla creazione è il «segno indelebile dell'“anticipo” (insuperabile) che Dio ha su di essa».
Si è in debito fin dall'inizio, in debito di essere in forza del dono originario che noi siamo. La percezione del nostro essere creati di fronte al Creatore scuote lo slancio del debitore verso un volto, quello del Creatore e Padre, davanti al quale ogni creatura sente di avere un debito inestinguibile che non è capace di restituire. Questa incapacità la stimola sul cammino della restituzione e del dare il nostro consenso. Nella memoria orante del Salmo, la percezione gioiosa del volto personale del Creatore incoraggia a tornare verso di Lui donando noi stessi a Lui e agli altri. Dio ama l'embrione che noi siamo stati, che ognuno è stato. Egli ama l'embrione che noi siamo ancora in quanto persone sempre chiamate a crescere nell'amore.
Diventa più facile in questo modo interpretare il frutto dell'incontro con Dio e la fecondità che rappresenta per ognuno il ritorno all'origine del suo essere e le sue implicazioni. Nella preghiera e nella riflessione sul suo essere creato, ogni uomo e ogni donna – come il salmista – sono chiamati a conoscersi a partire da Colui che ha donato l'essere. Le implicazioni che derivano dall'origine sono una migliore conoscenza del mistero personale e della ricchezza del concetto d'umanità. In questo modo viene suggerito il riconoscimento della trama del mondo. L'opera di Dio è donazione. Il gesto che ci fa venire all'essere ha la stessa natura. L'atto di accoglienza dell'essere umano avrà lo stesso sapore. Questo riconoscimento ci inserisce nella storia. Così come la percezione antropologica del debito che siamo è il fondamento del dinamismo etico, la conoscenza del volto del Donatore porta ad agire come Lui. Si tratta di vivere in Alleanza, come un figlio con il padre. La persona di Cristo, la sua Incarnazione, esplicita agli occhi degli esseri umani questo mistero di filiazione e di adozione divina. La domanda da porsi non sarebbe forse questa: non siamo forse tutti bambini a immagine di quel bambino? Rivelando Dio alla persona umana, il Verbo Incarnato rivela anche la persona a se stessa.
Il concepimento di Gesù nel grembo della Vergine Maria non è creazione di una nuova persona. L'umanità di Cristo appartiene al Verbo incarnato. Il concepimento verginale di Cristo, Dio fatto uomo, vero Uomo e vero Dio, fa parte del dono del Padre all'umanità che lo riceve nel Sì di Maria. Dio si dà in suo Figlio, offerto per noi fin dal concepimento. Il mistero del dono non passa inosservato nell'incontro fra Maria e Elisabetta né nel sussultare del precursore nel suo grembo (cf. Lc 1,44). Ma il Dono che trasfigura la storia dell'umanità all'inizio è silenzioso e interiore. Il figlio concepito e offerto entra nella pazienza di una crescita umana. Diventa visibile solo alla nascita, tra le braccia di Maria, avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia (cf. Lc 2,7). Conosciamo poco della gravidanza di Maria, si sa solo che il nostro Dio ha voluto crescere come tutti i bambini del mondo. È la logica della sua vita: Egli si è consegnato agli esseri umani.
Come interpretare questo movimento di kenosis se non per una volontà divina di raggiungere l'umanità e di trasfigurarla? Il Dono del Figlio a e per gli esseri umani è fatto di vulnerabilità e fragilità. Per salvare l'umanità, Dio la lascia parlare ed entrare in Lui a tal punto da diventare lui stesso uomo, simile agli uomini, tranne che nel peccato. Il dono di un figlio a Maria e Giuseppe, e a tutta l'umanità, è una parabola della logica trinitaria del dono e della comunione. Riconoscere la divinità di Cristo nella vulnerabilità e nel silenzio dell'infanzia aiuta a riconoscere la dignità dell'essere umano in tutti gli stadi del suo sviluppo. Il bambino è un sacramento della vulnerabilità di Dio. L'infanzia di Cristo è una parabola che rinvia a una similitudine del Dono di Dio per l'eternità.
Il Bambino-Dio è donato a tutti perché il Figlio si consegna a tutti gli esseri umani, per la loro salvezza. È il bambino della Promessa fatta a Israele: «Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio» (Is 7,14). Egli è ricevuto là dove è atteso con umiltà. È riconosciuto là dove è amato. Ogni dono, anche se atteso e accolto, sorprende l'aspettativa umana. In Cristo, supera ogni speranza. In ogni bambino svela il mistero di una alterità offerta nella sua ricchezza tutta nuova. Il mondo rinasce con la nascita di ogni bambino. «Ogni bambino che nasce porta in sé la speranza che Dio non si sia scoraggiato nei confronti dell'uomo». Come sono vere queste parole, applicate a Cristo: se il Padre di ogni paternità affida e offre all'umanità il proprio Figlio, la speranza umana viene confermata.
Questo movimento della ragione e del cuore di fronte al Bambino-Dio è paradigmatico. Consente di capire le condizioni del riconoscimento e dell'accoglienza dell'embrione umano in quanto fratello in umanità. L'abbassarsi del Verbo nel corpo e nel volto di un bambino svela qualcosa della potenza di Dio. Inizia anche al mistero dell'essere umano, creato a immagine di quel Bambino. Questa contemplazione di Cristo illumina la nuova creazione dell'essere umano con Dio in Cristo. Ogni persona deve essere «messo con il Figlio», essere fatto «dono con il Dono» per essere «figlio dello stesso Padre».
Il disegno di Dio su ogni figlio umano è sorretto dallo sguardo che Egli posa su suo Figlio nel grembo di Maria, alla nascita, durante la crescita e nell'età adulta. Noi siamo «creati in Cristo» (Col 1,16). Ogni essere è amato dal Padre nel suo Figlio Unigenito Gesù ed è destinato a diventare figlio nel Figlio. In ogni embrione umano, Dio vede suo Figlio. Quanto a noi, contemplando Gesù, il Diletto, noi sposiamo questo sguardo divino. Questo sguardo interno all'atto di fede è animato dall'amore e colma la speranza riposta in tutte le situazioni umane.
Perciò in Cristo ogni individuo è chiamato fin dal concepimento a essere un figlio adottivo e a pronunciare le stesse parole che Gesù indirizzava a Dio, suo Padre: «Abbà, Padre». Questa familiarità e intimità della creatura con il Creatore è grazia. Ciascuno può riconoscersi figlio dello stesso Padre ed entrare così nel mistero di una filiazione comune. Questa è la posta in gioco nel rispetto assoluto della dignità di ogni essere umano. Dio, costituendo l'alleanza, ha deciso di essere Padre di tutti gli uomini e le donne.
La paternità divina è inscritta in modo particolare nella storia del popolo eletto. Dio si rivela con la sua chiamata, con la sua parola di elezione. Ogni paternità umana a sua immagine è riconoscimento del figlio per mezzo della parola più che attraverso un test cromosomico. La paternità divina dice chi siamo. È rivolta verso il passato (il padre viene sempre prima del figlio), ma nel presente della storia libera per orientare al futuro. La definizione dell'essere paterno di Dio è fondamentale per ricapitolare tutti i momenti della nostra storia. Parlare di un Dio Padre e dell'adozione di ogni embrione in Cristo non significa soltanto riconoscere che si proviene da Lui, ma affermare anche che si va verso di Lui. Questa visione della paternità e della filiazione apre un orizzonte eterno a ogni essere umano: una prospettiva nella quale è atteso e sperato. Il Padre non è assente, ritirato nella sua trascendenza; il Suo cuore e le Sue braccia ci attendono.
Dio si esprime come creatore e padre nell'embrione umano che egli crea. Egli è padrone del tempo: è l'Eterno. Egli vede già l'essere umano libero, donato a se stesso, che un giorno sarà capace di riconoscere il dono della vita che gli viene fatto. Vede in ogni embrione umano colui che un giorno lo amerà, colui che risponderà al suo amore. La creazione è alleanza paterna tra Dio e ognuna delle sue creature. Questa alleanza è stabilita storicamente nella persona di Cristo, l'unico Figlio del Padre. È Cristo stesso che permette di entrare nella sua condizione di Figlio: siamo creati in Cristo. Nella creazione, Dio Padre ci destina a diventare figli nel Figlio, partecipi della nuova ed eterna alleanza che ha concluso nel Figlio suo per tutta l'umanità. In ogni embrione umano, Dio vede l'immagine di suo Figlio. L'affermazione è ricca di significato. Ogni embrione umano che viene all'esistenza partecipa all'eternità del Disegno creativo e salvifico di Dio (Ef 1,3-4). Al di là delle circostanze e degli avvenimenti che condizionano o spiegano la nostra venuta al mondo, Dio stesso è la nostra origine e il nostro fine, in quanto Creatore e Padre.
IL FIGLIO ALLO STATO EMBRIONALE È UN PUNTO ETICO CRUCIALE DELL'UMANITÀ
L'atteggiamento di riconoscimento di chi è l'embrione sarà fatto di ragione e cuore: presuppone una riflessione sulla natura dell'embrione umano e sull'accoglienza della sua persona. La riflessione riconduce alla nostra origine e al mistero della nostra dipendenza. Noi non siamo stati testimoni del nostro concepimento e non abbiamo voluto venire all'esistenza. La memoria di questa macchia cieca si rischiara alla luce divina, attraverso la potenza del Padre che ci ha chiamati all'esistenza. L'ombra dei corpi – la procreazione naturale si nasconde nella segretezza della carne e nell'oscurità dei corpi – domina il concepimento. Non è il simbolo di un tabù, ma di un amore che accetta umilmente di trasmettere la vita ricevuta. L'uomo e la donna agiscono perché si stringa per sempre il mistero dell'alleanza tra Dio e ogni nuova creatura. L'anima umana non viene data dai genitori, ma è affidata loro.
L'umanità di ciascuno di noi non si riduce alle apparenze e ai segni che ne diamo. Certamente i fenomeni aiutano a identificare l'essere umano, ad aiutarlo a crescere, a scoprirne la vocazione. È nostro compito di scorgerli. Ma per essere in grado di scorgere i segni dell'umano non sono sufficienti la tecnica o la scienza (ad es., l'elettroencefalogramma o l'ecografia). Il riconoscimento dell'altro passa attraverso una libera accoglienza di ciò che siamo: un dono gli uni per gli altri. Il riconoscimento passa attraverso l'amore. Senza la volontà di amare e donarsi, l'essere umano non può riconoscere l'altro. Più oscure sembrano essere le apparenze dell'umano, più dovremo amare, credere e sperare nella dignità nascosta di un essere. Quello che la ragione ci suggerisce, l'amore ci permette di vederlo.
L'embrione umano, come ogni essere umano, è più che l'apparenza che mostra. Ciò che è in atto, non si è ancora manifestato né esercitato in tutta la sua potenza: un dono in sé. Del resto, l'apparenza rende un cattivo servizio al nuovo essere umano. I sensi sono accecati riguardo l'identità umana. Affinché la ragione riconosca l'essere-dono in atto, prima che possa esercitare tutta la sua potenza umana, l'amore deve superare una barriera. Poiché il suo essere dipende direttamente da Dio, dobbiamo accoglierlo come una creatura, a sua immagine. L'accoglienza del dono del figlio sancisce moralmente la relazione di una persona con l'altra, ma anche la relazione dell'individuo con Dio (Mt 25,40). Il dono richiede un riconoscimento alla sua altezza. Rifiutare di considerare la persona come un dono significa ferirla gravemente e nascondere la sua bellezza. Può significare anche rischiare di perderla. Ogni negazione del dono del figlio o del dono reciproco dei suoi genitori costituisce un grave ostacolo alla sovrabbondanza e alla condivisione della vita.
CONCLUSIONE
La conclusione non può che ribadire la dignità di ogni persona umana. Nell'Istruzione Donum Vitae, rivolta a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, il criterio che guida la riflessione per valutare le nuove e differenti situazioni poste dalla bioetica, è il seguente: «L'essere umano va rispettato e trattato come una persona fin dal suo concepimento». Ciò che si è detto esplicita – e vuole fondare teologicamente – questa «halakhah» cattolica tanto precisa e tanto determinata.